London, Royal Opera House Covent Garden, “Salome” di Richard Strauss
SCONVOLGENTE SALOME FASCISTA
David Mc Vicar, giovane regista scozzese, ha firmato alcune delle produzioni più interessanti del Covent Garden; dopo una Aida controversa, sono ora contemporaneamente in scena sul palcoscenico londinese l’allestimento delle Nozze di Figaro del 2006, più volte riproposto con successo e ormai diventato un classico (da noi recensito in precedenza, recensione presente nel sito) e la “bloody” Salome del 2008.
Il regista ambienta l’opera negli anni Trenta, durante il fascismo, ispirandosi a quel clima di lussuria e perversione sessuale evocato da Pier Paolo Pasolini in “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. Es Devlin divide la scena in due in orizzontale: uno scantinato (che occupa due terzi dell’altezza complessiva della scena) e un lussuoso mezzanino dove è in corso un elegante ricevimento, una sorta di “ultima cena” prima della catastrofe a cui partecipano Erode, Salome, Erodiade e raffinati ospiti.
Lo scantinato è un locale di servizio sotterraneo, un ambiente degradato dalle mura corrose dall’umidità con pareti in parte demolite, lavabi e orinatoi a vista, animato da figure che danno una connotazione forte alla scena, come le guardarobiere immobili dalla pelle diafana e i biondi capelli ondulati, nude o in reggicalze col seno scoperto, con lo sguardo fisso nel vuoto destinate a soddisfare il piacere di ospiti o militari sotto gli occhi impotenti di inservienti e derelitti. E da questo sottosuolo che Narraboth, attraverso la scala a chiocciola che collega i due ambienti, spia sempre più nervosamente Salome che, annoiata dagli svaghi da alta società, scende di sotto in cerca di emozioni forti, accompagnata nella sua discesa agli inferi dagli invitati, donne fatali in luccicanti abiti da sera, uomini di stato e prostitute semi-nude.
La danza di Salomè è un flash-back onirico con implicazioni psicanalitiche: le quinte che delimitano la stanza spariscono, la scena si tinge di blu notte e sfilano in carrellata una serie di porte che invitano a entrare in sette stanze che rappresentano le fasi di un vissuto. In questo viaggio Salome è sempre accompagnata da Erode, con cui intrattiene un rapporto d’incestuosità (la danza svelerà come alla base della sua perversione ci sia un abuso). Nella prima stanza una Salomè bambina con un orsacchiotto fra le braccia siede in braccio a Erode, poi si lascia spogliare per indossare un abito da ballo e insieme volteggiano in un valzer voluttuoso; quando la musica diventa sempre più sincopata Salome, dopo essersi contorta a terra di desiderio o vergogna, si lava le mani e il volto e sparisce nel buio. L’ultima scena è un pugno allo stomaco: un boia dal corpo statuario, completamente nudo e insanguinato, porge la testa grondante a Salome che lo abbraccia con tale voluttà da tingere la sottoveste di rosso; accoccolata a terra tiene la testa in seno come fosse un bambino mentre il sangue scorre a fiotti sotto gli occhi degli astanti impietriti e, dopo il bacio sacrilego, il boia la uccide spezzandole la schiena in un abbraccio.
Il ruolo protagonista è ora affidato a Angela Denoke, una Salomè adulta dal fisico androgino, vagamente frigida, dalla perversione più nervosa che sensuale, elegante e raffinata come certe rampolle viziate del jet set. Scenicamente disinvolta e ottima ballerina, convince per doti di dizione e fraseggio e la capacità di variare gli spessori a fini espressivi. Ottimo il registro centrale, qualche limite in quello acuto.
Nel ruolo di Jochanaan, Johan Reuter sfoggia una sontuosa voce baritonale, scultorea ed incisiva. Vestito come un barbone dal cappotto sudicio e bagnato, emana una fisicità selvaggia e brutale, quasi sgradevole.
Ottimo l’Erode perverso e lascivo di Gerhard Siegel, la voce dimostra grande tenuta e la disinvoltura scenica è notevole. Andrew Staples è un Narraboth appassionato e dolente dalla bella voce. Gradevole anche il paggio di Erodiade Sarah Castle; piuttosto debole e poco carismatica l’Erodiade di Irina Mishura.
Hartmut Haenchen offre una direzione nervosa e leggera che emana una morbida sensualità in disfacimento. Ottimamente calibrata e precisa nelle sonorità, dà pieno risalto a chiaroscuri e preziosità timbriche senza mai coprire le voci. Ma, se pur attenta al climax, la direzione musicale ha una violenza insinuante e sfumata.
Grandissimo successo di pubblico per una produzione che si riconferma intelligente, forte e sconvolgente.
Visto a London, Royal Opera House Covent Garden, il 03/7/2010
Ilaria Bellini